Un drammatico annuncio … da una vecchia signora in rosa-nero.

E’ proprio vero … l’ironia del caso vuole spesso che il dramma si mostri con il suo volto più bizzarro.

Forse sarà per colpa del mio subconscio che, atterrito dalla gravità della notizia, anziché soffermarmi sul drammatico annuncio del test nucleare e sulle sue pericolose conseguenze, mi sono messo a fare mille pippe mentali sulla singolare speaker della Tv Nord Coreana.

Ri Chun-hee giornalista e conduttrice televisiva nordcoreana

“Ma chi è mai costei?” mi sono chiesto perplesso, scimmiottando il buon vecchio Don Abbondio con il suo enigmatico Carneade.

Ipnotizzato dai suoi meccanici movimenti, che reiteratamente la portavano ad accennare leggeri inchini in avanti, rapito dal suo sguardo fisso verso il basso, perso ovvero nell’attenta lettura del preciso copione da recitare, accecato dal suo sfolgorante jeogori rosa che sormontava il caratteristico china di colore nero, mi è scappato quel tipico saccente risolino occidentale.

Vinto dalla curiosità, sono dunque andato alla ricerca di notizie, scoprendo che l’arzilla vecchietta è tale Ri Chun-hee, di anni 72, famosissima giornalista coreana, andata in pensione nel lontano 2012. Richiamata appositamente per l’occasione, l’annunciatrice del popolo, così conosciuta da tutti, ha impressionato ancora una volta il mondo intero, e non solo per la gravità delle sue parole.
Infatti improvvisamente mi è tornato in mente come tale Ri Chun-hee, cresciuta con i fondi del governo e brillantemente laureatasi in performance art, fosse già balzata agli imbarazzi della cronaca nel 2011 e prima ancora nel 1994, quando scoppiando in un disperato pianto aveva annunciato la morte rispettivamente di Kim Jong II e di Kim II Sung.

Un ghigno beffardo, di colpo, è venuto a disegnarsi sul mio viso, prima che ancora una volta mi scappasse quel supponente sorrisetto da occidentale.
Insomma … è proprio vero che sempre “mi affretto a ridere di tutto e di tutti, per la paura di essere costretto a piangerne!”.

Innominato

Un anno fa … Charlie Hebdo!

Non mi soffermerò sul fatto in sé, né in appassionanti filippiche ricche di tanta sterile retorica: è stato scritto tanto e se ne scrive tuttora troppo, e spesso per fini biecamente strumentali. Comunque tutto … è iniziato un anno fa. O meglio per noi europei, tutto è iniziato con la strage alla sede di Charlie Hebdo, il nostro 11 Settembre statunitense, tanto che ormai è invalsa la moda di parlare di primo Natale ai tempi dell’Isis, di primo Capo d’Anno ai tempi dell’Isis … .

E’ passato un anno … e l’Europa è ancora sotto shock.
Uno shock surreale di cui spesso non ci si rende conto, ma che latente ci condiziona ogni giorno.
Uno shock che si rinnova ed acuisce di attentato in attentato, e che ci porta a rivedere i principi cardini della nostra cultura, le nostre libertà fondamentali.
E così … dopo 70 anni la Francia è tornata ha dichiararsi in stato di guerra, chiudendo anche momentaneamente le sue frontiere, nelle ore successive alla strage del Bataclan, che riapriva drammaticamente le ferite mai sanate dell’attentato alla sede di Charlie Hebdo.
E così … stati civilissimi come Danimarca e Svezia hanno deciso unilateralmente di sospendere il trattato di Schengen,  tornando a limitare la libertà di circolazione delle persone, per prevenire l’immigrazione illegale, la criminalità organizzata, nonché l’infiltrazione incontrollata di cellule terroristiche.
E così … per la prima volta i metal detector hanno fatto la loro comparsa nei luoghi simbolo della cultura italiana, come il Colosseo a Roma e la Scala a Milano.
E così … più comuni italiani hanno predisposto ordinanze, che prevedevano la rimozione dei crocifissi dalle aule scolastiche, in ottemperanza ad una sensibilità laica, volta a non offendere le altre culture presenti nel nostro paese.
E così … la Santa Sede, di angelus in angelus, persevera nel dar prova di straordinario equilibrismo linguistico, denunciando le continue stragi di cristiani nel mondo, senza però mai levare accuse che possano urtare altre confessioni, altre culture.  Anzi lo stesso apprezzatissimo  Papa Francesco I, un anno fa fu protagonista di uno degli scivoloni più clamorosi del suo pur positivo pontificato, allorquando commentando le vicende di Charlie Hebdo, in un eccesso di genuinità, dichiarò di considerare normale voler dare un pugno a chi offendesse la propria madre.
E così … , indolenti, si potrebbe continuare in questo assurdo elenco.

Maliziosamente, verrebbe però anche da pensare quante delle precedenti misure siano effettivamente conseguenza della strage di Charlie  Hebdo o del Bataclan, piuttosto che il risultato di altre logiche geopolitiche o di interessi economici particolari, che utilizzano in modo strumentale morti e feriti, facendo leva sul diffuso sentimento di paura.

E’ passato un anno … e da allora siamo tutti “Je suis Charlie”: un grido di paura più che un inno di libertà, un  bieco paravento più che un vero attestato di solidarietà.

Innominato